I GUNA sono le tre diverse nature che caratterizzano, secondo la Filosofia del Sankya, il comportamento della specie umana nelle particolari situazioni della vita. Inoltre l’uomo porta con se alcuni atteggiamenti che ne possono compromettere o rallentare un possibile percorso di crescita. Uno di questi è la mancanza di finalità. Sono poche infatti le persone dotate di grande forza di volontà, fortemente concentrate nel perseguire un fine. Tali persone raggiungono spesso grandi risultati nelle rispettive sfere di lavoro.
La maggior parte della gente passa invece attraverso la vita, trasportata dagli avvenimenti, senza la capacità di modificarne le circostanze o imprimere ad esse una direzione.
Chi pratica Yoga non ha tendenzialmente gli atteggiamenti mondani delle persone socialmente ambiziose. Deve possedere tuttavia una “concentrazione finalistica” molto forte perché ci sono oggettive difficoltà nell’ottenimento dei risultati. Queste dipendono normalmente dagli scarsi successi che si evidenziano all’inizio. L’obiettivo finale dello Yoga è in larga parte sconosciuto; è poco tangibile e tutto il lavoro da compiere si svolge sulla persona.
Una seconda caratteristica che prenderemo in considerazione è che la mente comune dell’uomo è prevalentemente rivolta verso l’esterno. Anche coloro che vengono identificati come introversi, hanno in realtà questa propensione. La loro effettiva tendenza è quella di occuparsi delle proprie immagini mentali, trascurando gli avvenimenti esterni, senza orientarsi invece verso il centro, dove si può dimorare con l’armonia del proprio Sé ed i principi superiori.
Lo sforzo dello yogi, durante il cammino attraverso la sua disciplina, è proprio quello di sfuggire a quella “forza centrifuga” della mente, uno stato mentale definito col termine viksepa. Le condizioni dell’uomo che provocano lo stato di viksepa vengono definite da Patanjali come ostacoli e sono citate nel seguente specifico yogasutra:
I,30 Vyadhi-styana-samsaya-pramadalasyavirati-bhranti-darsanalabdhabhm katavanavasthitavani citta-viksepas te ‘ntarayah.
Malattia, apatia, dubbio, negligenza, indolenza, inclinazioni mondane, illusione,
non-attingimento di uno stadio, instabilità, questi (nove elementi) determinano la distrazione della mente e costituiscono gli ostacoli.
Il DUBBIO è diversamente un ostacolo molto subdolo perché è anch’esso nella natura umana e può presentarsi in un momento qualsiasi del percorso di crescita. Nello Yoga possono sorgere dubbi sulla meta finale da raggiungere perché, è un obiettivo intangibile. L’allievo potrebbe dubitare sulla metodologia impiegata oppure sull’adeguatezza delle sue capacità fisiche ed intellettuali nel praticare lo Yoga; potrebbe dubitare anche sulla attendibilità dell’insegnamento che riceve. In questa disciplina è indispensabile una fede incrollabile o sraddha ed una grande motivazione per raggiungere quanto meno uno stato di silenzio mentale e di pace interiore. Dove esiste la fede il dubbio non trova spazio. Laddove la mente dell’uomo è focalizzata su di una precisa finalità, potrà affidare alla sua pratica costante l’aiuto necessario a contenere il dubbio.
Ci sono adepti che accompagnano con la NEGLIGENZA il loro percorso nella disciplina. Questa è una forma di disordine e di trascuratezza che tende a rilassare la nostra attenzione ed impedisce la concentrazione. Le persone negligenti non hanno imparato che “nell’economia della vita ogni aspetto merita la sua particolare attenzione”. Quindi serve equanimità ed attenzione per distinguere le cose che valutiamo importanti e quelle che riteniamo modeste e meno essenziali. Lo Yoga è unascienza di vita che non ci conduce tanto dal facile al difficile, ma “dal grossolano al sottile“ ed anche per questo la negligenza è vista come un pericolo grave.
L’ INDOLENZA è un’altra forma di abitudine che conduce ad una forma distratta della mente. Conduce, come l’apatia, a produrre scarsi risultati nel percorso di crescita. E’ una forma di svogliatezza che deriva dall’insana abitudine di attaccamento alle cose facili ed all’agiatezza. L’indolenza è per definizione il contrario di alacre, attivo, laborioso, operoso, risoluto e solerte. Una persona indolente, acquisisce la tendenza ad evitare ogni forma di sacrificio, anche se questo potrebbe condurre ad importanti risultati. L’indolenza si distingue dall’apatia in quanto, mentre la seconda viene considerata un limite puramente fisico, questa è considerata una condizione puramente psicologica. Secondo lo Yoga, questo ostacolo si può superare sottoponendosi disciplinatamente a pratiche costanti e a compiti impegnativi attraverso una progressione strutturata.
Le INCLINAZIONI MONDANE sono indicate da Patanjali come il sesto ostacolo che può condurre l’adepto in uno stato di viksepa e quindi di distrazione dallo sforzo orientato all’incontro col proprio Sé. Gli interessi per il mondo esterno oggi sono tantissimi e anche se dotato di buona volontà, l’uomo moderno incontra difficoltà nel creare intorno a se stesso le condizioni per poter discriminare, nel suo “rumore mentale”, i problemi reali della vita.
Nello Yoga, viveka è invece lo stato mentale dove è sempre presente la consapevolezza dei grandi problemi della vita e le illusioni dell’esistenza umana.
Viveka è dunque discriminazione tra reale ed irreale.
Le propensioni al mondo sono invece un legame che costituiranno una turbativa mentale nel cammino di ogni allievo. Egli ha dentro di se l’impulso del passato ed intorno a se stesso la realtà dove vive. Dovrà dunque resistere alla lotta incessante fra i desideri che conducono la mente verso le attrazioni del mondo e la volontà di dover dirigere la coscienza verso l’interno.
L’ILLUSIONE è un errore, un inganno della mente, per cui una falsa impressione viene creduta realtà. E’ un’erronea interpretazione del reale, attribuibile spesso a scarsità di discriminazione o di intelligenza. Chi si illude ha la sensazione, ribadisco erronea, di poter realizzare i propri sogni ed attribuisce consistenza alle proprie speranze. Praticando lo Yoga una persona potrebbe pensare, passando attraverso alcune esperienze interiori di rilievo, di possedere particolare vocazione per questa disciplina, illudendosi di aver già raggiunto con facilità particolari stati supremi di coscienza.
Questa non capacità di discernere il reale dal non reale, accompagnata da ingiustificato entusiasmo, potrebbero derubare l’allievo della necessaria umiltà per approfondire lo studio delle discipline che portano alla liberazione e distrarlo dalle pratiche.Il grande rischio è che una volta acquisita consapevolezza delle proprie limitazioni, anche gli allievi più determinati potrebbero cedere alla tentazione di abbandonare l’esperienza anziché far tesoro di questo errore.
Un ulteriore ostacolo che può distrarre la mente dell’allievo, nel progresso attraverso le fasi dello Yoga superiore, può essere il NON RAGGIUNGIMENTO DI UNO STADIO.
Praticare ashtanga yoga significa procedere con determinazione e coerenza attraverso gli otto stadi di questa disciplina, affinché la mente riesca a penetrare nei livelli più profondi della coscienza, con le tecniche di dharana, dhyana e samadhi.
In questo cammino ci sono periodi nei quali, nonostante un disciplinato lavoro su se stessi e pur mantenendo motivazione e spiritualità, si ha la sensazione di non poter progredire ulteriormente allo stadio di coscienza superiore.
Questa situazione va gestita con l’atteggiamento equilibrato e paziente per continuare consapevolmente il lavoro dal luogo di pace raggiunto. Tale situazione necessita dunque degli insegnamenti precedentemente ricevuti ed integrati:
Ti compete soltanto l’agire ma mai i sui frutti
non sia il frutto dell’azione motivo del tuo agire
nè sorga in te adesione al non agire.
Ben saldo nello Yoga compi le tue azioni
lasciando da parte ogni attaccamento
rimanendo equanime nel successo e nell’insuccesso.
Lo yoga è equanimità( Bhagavadgita – Canto II, 47 )
Dinnanzi a ciò che il nostro ego può interpretare come un insuccesso, l’atteggiamento migliore è la fede, il lavoro e l’abbandono al Signore. Dinnanzi agli ostacoli della vita, chi crede, può imparare a pregare Dio come se tutto dipendesse da Lui e continuare il proprio cammino come se tutto dipendesse da se stesso.
L’ultimo ostacolo che Patanjali indica come causa di distrazione o viksepa è l’INSTABILITA’, cioè la non capacità di mantenere nello Yoga lo stadio superiore appena raggiunto. Succede infatti che nel cammino di apprendimento e di pratiche svolte con particolare disciplina, si realizzi una condizione mentale superiore ed un successivo regresso. Questo può accadere per una temporanea incostanza nell’esercizio, oppure perché la mente, anche influenzata dai precedenti ostacoli, ha una particolare propensione all’instabilità. Poiché quest’ultima caratteristica può essere legata al carattere dell’individuo, sarebbe molto utile integrare ulteriormente i dieci fondamenti di Yama e Niyama, per poter progredire nella disciplina.
Quelli sopra descritti sono pertanto le condizioni fondamentali che producono la condizione distratta della mente e di conseguenza uno stato di mediocrità e di disagio.
I sintomi citati da Patanjali nel sutra I,31 ci riconducono pertanto al problema più esteso della sofferenza umana ed alla teoria dei Klesa o afflizioni:
I,31 Duhkha-daurmanasyangamejayatva-svasa-prasvasa viksepa-sahabhuvah
Dolore (mentale), disperazione, nervosismo e respiro difficile sono i sintomi di una condizione distratta della mente.
Lo stress affligge moltissime persone, ma è solo attraverso lo studio attento delle interdipendenze fra le problematiche sopra descritte che si può intuire la soluzione a queste sofferenze, partendo però dall’interno dell’essere.
Iniziando dunque dall’analisi lucida e spietata dei nostri processi mentali, arriveremo attraverso le tappe che lo yoga ci propone, alla guarigione dagli effetti nocivi, dovuti a situazioni esterne, che sono inevitabilmente e comunque fuori dal nostro controllo.