Nella molteplicità delle manifestazioni di sofferenza, delle loro possibili conseguenze e soluzioni, la disciplina dello Yoga della tradizione offre un ampio spettro di approfondite considerazioni. L’osservazione delle afflizioni, che da sempre limitano lo sviluppo spirituale dell’uomo, ci può condurre a sottili intuizioni su quelli che potremo considerare importanti presupposti psicologici. E sono anche questi ultimi che creano le condizioni caratteriali degli individui ai sintomi stressogeni ed alle loro conseguenze.

Semina un pensiero e raccoglierai un’azione,
semina un’azione e raccoglierai un’abitudine,
semina un’abitudine e raccoglierai un carattere
semina un carattere e raccoglierai un destino

( Charles Reade – XIX Secolo )

Se prendiamo in esame le problematiche che un individuo normalmente affronta nel corso dell’esistenza contemporanea, troveremo conferme che l’uomo vive oggi, per sua natura mentale, situazioni di errata interpretazione delle proprie esperienze. Questo malinteso era già ampiamente descritto su testi antichi, tramandati dalle principali culture filosofico-religiose. Di questi conserviamo fortunatamente documenti, traduzioni ed interpretazioni.

Lo Yogasutra di Patanjali è, insieme alla Bhagavad Gita, alle Upanishad e all’Hatha Yoga Pradipika, uno dei testi fondamentali dello Yoga che sviluppano questo argomento in modo magistralmente profondo. Patanjali è unanimemente ritenuto il più autorevole interprete dell’ashatanga Yoga
(lo Yoga in otto membra che viene riconosciuto come disciplina elettiva per raggiungere il “Kaivalya“).

Egli é vissuto secondo gli studiosi intorno al 400 a.C., anche se molti filosofi moderni hanno postdatato al tardo medioevo la redazione dei suoi Yoga sutra coi celebri insegnamenti. Il testo illustra in sintesi il cammino del sadhaka (o allievo) volto alla più elevata realizzazione del sé.

L’opera è composta di 196 aforismi o versi, scritti in lingua sanscrita estremamente concisa,suddivisi in quattro sezioni:

Sezione I – Samadhi Pada
di 51 sutra o aforismi, che trattano inizialmente la natura generale dello Yoga e l’approccio al samadhi, ovvero lo stato contemplativo che è lo stadio più elevato di unione con il sé.
Sezione II – Sadhana Pada
di 55 sutra, che contiene, nella teoria dei Klesa, un’analisi magistrale della sofferenza che la vita umana comporta e le prime cinque pratiche dello Yoga esteriore o bahiranga. Lo scopo di questa sezione è quello diformare l’adepto alla pratica dello Yoga superiore. Sadhana significa letteralmente ciò checonduce alla verità – Il cammino che porta alla realizzazione spirituale.
Sezione III – Vibhuti Pada
di 56 sutra, conduce lo yogin all’approfondita conoscenza delle tre rimanenti tecniche interiori: antaranga o più precisamente Samyama e parla dei poteri o siddhi che queste tecniche conferiscono. Vibhuti significa letteralmente poteri.
Sezione IV – Kaivalya Pada
di 34 sutra, dove si commentano gli aspetti filosofici e le problematiche implicite nello studio e nella pratica yogica. Il termine Kaivalya indica liberazione: liberazione definitiva dall’esistenza condizionata o samsara, cioè il ciclo delle rinascite secondo la cultura Hindu.

In riferimento alle afflizioni dell’uomo, nella sezione II,3 degli Yogasutra, vengono trattati le principali fonti che divengono inconsapevolmente seme di sofferenza umana: la prima diventa la causa scatenante delle restanti. Il dolore è qualche cosa che deriva da un evento, ma l’afflizione o la sofferenza derivano dal dare continuità alla prima sensazione, con il supporto della memoria e dell’immaginazione.

I klesa o afflizioni sono rispettivamente: Avidya; Asmita; Raga; Dvesa; Abhinivesae vengono descritte in relazione tra loro come le radice, il tronco, i rami, le foglie ed il frutto in un albero:

Avidya è la forza che si oppone alla conoscenza in modo fraudolento. É uno stato di ignoranza. E’ “prendere il non-eterno, l’impuro, il male e il non-atman per eterno, puro, buono, e atman”. E’ la perdita della consapevolezza sulla natura del proprio sé e della realtà che noi fondamentalmente siamo. E questo stato allontana l’uomo dalla verità.
Asmita individua un senso di individualità (che nasce da avidya). E’ la ricerca delle esperienze piacevoli ed il rifiuto delle sgradevoli; l’identificazione con il corpo, con il pensiero, con l’emotività umana
Raga indica l’attrazione che consegue all’esperienza del piacere (anche questo viene indicato da Pantanjali come sorgente di afflizioni)
Dvesa è al contrario l’avversione e la repulsione per gli oggetti che ci ricordano esperienze negative visitate in passato
Abhinivesa identifica invece la volontà di vivere ed un eccessivo attaccamento alla vita che domina anche il sapiente.

Proprio come un seme è seminato nel terreno, così l’impronta di ogni esperienza viene impressa nella mente. Queste impronte di esperienze sono vive. Esse hanno il loro diretto potere di ricreare l’intera esperienza che le ha prodotte primariamente. Infatti ogni impressione cerca la ripetizione della corrispondente esperienza originale. Quindi il desiderio tende sempre a guadagnare forza se esso è soddisfatto. Questa è la vera natura del desiderio. Così, poiché l’impressione di una particolare esperienza o di un particolare esaudimento di un desiderio, diventa sempre più profondamente confermato da ogni successivo esaudimento dello stesso desiderio, quell’impressione comincia a svilupparsi in una definitiva tendenza della mente. Il desiderio perciò non è mai saziato dal suo esaudimento. Le predilezioni della mente sono proprio in attesa di essere stimolate. Non appena il desiderato oggetto è visto ancora una volta all’esterno, o se ne sente parlare, o anche soltanto se ne pensa, immediatamente il desiderio si ripresenta. Esso manifesta se stesso e stimola la mente ad andare all’esterno. Quando queste onde di pensiero fluiscono nella mente, l’immaginazione è chiamata in gioco per mostrare quanto dolce e desiderabile è l’oggetto e come seducenti sono le sue attrazioni. Nel momento in cui l’immaginazione viene così impegnata, questi pensieri si manifestano come una forte bramosia. Tali pensieri, con l’immaginazione che gioca su di essi, incatenano l’uomo. La sua totale identificazione con i vari stati d’animo della mente lo rendono schiavo dei desideri che operano dentro di essa. Così, quando è sentito lo stimolo, voi siete sospinti da esso. Anche l’aspetto della volontà dell’ego è legato al desiderio naturale della mente. L’uomo è così portato ad avventurarsi sull’intera materia e l’individuo è spinto all’azione per soddisfare il suo desiderio. Essendo soddisfatto il desiderio, il circolo vizioso è ancora una volta completato. Ancora una volta, essendo stata completata quell’esperienza, l’impressione incisa nella mente è diventata ancora più profonda. Questo è il circolo in cui l’essere umano è catturato. Egli è come un giocattolo, un fantoccio, un oggetto del gioco della mente che rifiuta ogni limitazione. La mente vuole essere piena di desideri e agitazioni, e non vuole essere controllata. A meno che essa non sia osservata e disciplinata giornalmente, l’uomo vivrà la sua vita come una bambola e terminerà la sua vita in schiavitù. La vasta maggioranza degli esseri umani sono solo spinti e travolti da ogni piccolo desiderio e impulso della mente. Essi non hanno alcuna libertà. La libertà individuale è solo un mito. Possono avere libertà di stampa, di parola, ma fintanto e finchè gli uomini non hanno avuto il controllo sulle loro menti, sui loro desideri e impulsi, essi vivono praticamente in schiavitù e la loro libertà è soltanto un nome. Quando l’uomo ha una comprensione della mente, e scopre come essa agisce, allora sarà capace di afferrarla. Qui c’è uno degli aspetti più importanti della manifestazione della mente. Poichè il pensiero “ io“ è totalmente nella presa della mente, l’uomo è incapace di penetrare nel cuore del suo essere dove giace il centro della sua coscienza. Questa ineffabile esperienza di libertà viene negata dalla mente all’uomo precisamente nel modo che è stato detto.

( Swami Chidananda – La misteriosa Mente e il suo controllo )

Queste situazioni umane, portano le persone ad accumulare tensioni che spesso sono inconsapevoli ed agiscono per lunghi periodi della vita, in modo non manifesto, favorendo il loro dilagare, dapprima nel piano mentale e successivamente sul piano fisico. Patanjali classifica queste tensioni in quattro tipologie diverse: a) dormienti o in quiete; b) attenuate o sottili; c) espanse o pienamente attive; d) alternanti o disperse.
Lo stress è a tutti gli effetti, come già trattato, una forma di tensione.

Un klesa dormiente è soltanto in forma latente, potenziale; non può manifestarsi perchè mancano gli adeguati presupposti
La condizione attenuata è una forma di tensione presente ma lieve, pur non essendo attiva può manifestarsi nel momento in cui subentra uno stimolo.
La condizione espansa è invece una condizione manifesta di sofferenza, un vortice psicologico che coinvolge l’intero essere. La sua manifestazione è totalmente evidente.
La manifestazione dispersa di un klesa indica invece due tendenze in opposizione tra loro che si manifestano alternativamente come un avvicendamento tormentoso di sentimenti di attrazione e repulsione, che nascono comunque da forme di attaccamento
agli oggetti materiali o immateriali della vita.
L’approfondimento della teoria dei Klesa ci porta a riconoscere in essi le cause di tutti i dolori e le sofferenze dell’uomo. E’ necessario dunque indagare continuamente per osservare il grado di presenza di queste tensioni. Questa consapevolezza della nostra realtà interiore, può permetterci di intraprendere quel cammino verso un luogo di pace, dove ognuno si sente bene ed è felice di esistere.
E’ interessante anche osservare che l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute “uno stato di benessere completo, fisico, mentale e sociale”.
L’osservazione delle nostre tensioni sul piano fisico, psichico ed emozionale, sono dunque ottimi presupposti per analizzare i diversi aspetti dello stress e definirne i contorni.
L’adozione di adeguate pratiche yoga, con il supporto iniziale di un Insegnante ed uno stile di vita improntato sull’austerità e sulla costanza, diventeranno il rimedio migliore per dominare sempre le situazioni stressanti o quanto meno circoscriverne gli effetti più dannosi.
Accontentarci tuttavia del raggiungimento di un grado di parziale benessere sul piano fisico e mentale, ci porta in quella zona di conforto dove subiremo l’illusione di uno stato “sattvico” o di equilibrio, Questo atteggiamento ci avvicina però al rischio di un arresto nel cammino di crescita spirituale. Dunque l’allievo devoto non perderà mai di vista il sentiero davanti a sé.

Nello Yoga, la pratica per l’attenuazione dei klesa è indicata nel testo della Hatayoga-Pradipika attraverso un insieme di posizioni, gesti o contrazioni atti a trattenere o dirigere la circolazione del prana, l’energia vitale che fluisce nel corpo.
Queste pratiche vengono definite come Mudra e, secondo il testo, la pratica costante di queste è in grado di conferire particolari poteri all’adepto. L’Hatayoga-Pradipika ne menziona 10 ed indica nella Mahamudra l’esercizio elettivo per vincere sull’afflizione dell’avidya:

III, 10 – Si comprima il perineo col tallone del piede sinistro e dopo aver allungato in fuori la gamba destra, si afferri saldamente il piede destro con le mani.

III, 11 – Mentre si effettua la contrazione della gola, si porti verso l’alto il prana lungo la susumna. Allora, come un serpente disturbato con un bastone si risveglia e si irrigidisce come una bacchetta.

III, 12 – Così la Sakti arrotolata (kundali) si raddrizza subitaneamente: a questo punto si genera uno stato di morte per le due nadi

III, 13 – Poi si espiri molto lentamente e senza violenza: questa è invero indicata come mahamudra dai potenti siddha.

III, 14 – Le afflizioni, a cominciare dai grandi klesa e dalla morte, vengono distrutte: per questo motivo gli ottimi saggi tra i saggi la chiamano mahamudra.

III, 15 – Dopo averla praticata con la parte lunare del corpo, la si esegua successivamente con la parte destra: quando si raggiunge un numero uguale di esecuzioni dal lato destro e dal lato sinistro, allora si sospenda la mudra.

Mahamudra non è un semplice esercizio di asana o positura, come potrebbe apparire, ma è una pratica molto profonda di rotazione della coscienza in diversi punti del corpo (sambhavi; khecari; mula; e bindu) e implica la conoscenza di altre tecniche (arohan-avarohan; unmani-mudra; khecari-mudra; sambhavi-mudra; kumbhaka) che per la loro complessità dovranno essere apprese da un Insegnante qualificato (vedere Figure A e B).

Figura A – Prima positura parte destra per il Mahamudra (il grande sigillo)

Figura B – Seconda positura parte destra per il Mahamudra (il grande sigillo)

Mahamudra ci affranca dai nostri veleni psichici e ci prepara alla concentrazione.