Lo stress può essere considerato come una condizione in cui si verifica un turbamento dell’omeostasi dell’organismo, cioè del suo equilibrio naturale, a seguito di uno stimolo, o fattore, che può essere interno o esterno.
Per meglio comprendere l’importanza dell’omeostasi negli esseri viventi, occorre sottolineare che una condizione statica ed immutabile non può essere compatibile con la sopravvivenza e che la capacità di modificarsi in continuazione è necessariamente intrinseca a tutte le cose.
Per condurre un’esistenza libera ed indipendente, un organismo vivente deve dunque necessariamente possedere quei meccanismi che possono garantirgli l’integrità biologica, a fronte dell’inevitabile succedersi dei cambiamenti esterni ed interni ad esso.
La visione moderna del concetto di stress è oggi rappresentata come il punto di arrivo di precedenti studi, iniziati già a partire dall’inizio del secolo scorso.
Il fisiologo W. Cannon condusse ad esempio, nel periodo verso la fine degli anni ‘20, una serie di studi sulla risposta agli stimoli emozionali, come la rabbia e la paura. Questi avviarono successive ricerche, interessate a scoprire le eventuali manifestazioni somatiche e comportamentali, correlate alle sollecitazioni emotive in condizioni di pericolo.
Si scoprirono così importanti differenze di comportamento, come reazione ai diversi stimoli emozionali, che erano sempre finalizzate al mantenimento dell’integrità fisica dei soggetti sottoposti all’evento stressogeno.
Negli anni ’30 Hans Selye, definì come stressanti “quegli stimoli capaci di aumentare la secrezione dell’ormone adrenocorticotropo (ACTH)”, che evidenziavano anche morfologicamente, come si è scoperto, l’aumento delle dimensioni corticali delle ghiandole surrenali.
Egli descrisse una sindrome causata dall’esposizione protratta a vari tipi di agenti nocivi, caratterizzata appunto da “ipertrofia della corticale del surrene, ipertrofia timo-linfatica e ulcere emorragiche a livello gastrico”.
Questo fenomeno, Selye lo interpretò come una risposta sistemica dell’organismo, indicandolo come “sindrome di adattamento generale”
Altri studi hanno successivamente dimostrato che alla maggior parte degli eventi stressogeni, chiamati stressors, corrisponde una risposta “multidimensionale” e quindi più complessa, che comprende anche l’attivazione di altre funzioni neuroendocrine.
La risposta specifica e personalizzata ad un evento stressogeno, scaturisce dunque da tutte le componenti di risposta dell’organismo ad una particolare e prolungata sollecitazione.
Attualmente, una corretta definizione del termine stress, si può sinteticamente descrivere come risposta integrata dell’organismo a modificazioni operate su di esso.
Per far fronte agli stressor, l’organismo deve necessariamente mantenere entro certi limiti i propri parametri vitali con risposte diverse; queste non rappresentano necessariamente qualcosa di nocivo, in quanto possono risultare funzionali alla sopravvivenza di tutte le specie animali e l’assenza dei meccanismi di risposta allo stress diverrebbe incompatibile con la vita stessa.
Nel linguaggio scientifico si distinguono l’eustress dal distress.
Il primo è una risposta fisiologica, ovvero esclusivamente adattiva, cioè funzionale alla sopravvivenza dell’individuo.
Il secondo indica una condizione di “discrepanza” tra lo stimolo e la risposta, quando cioè le richieste ambientali vanno oltre le reali capacità di fronteggiamento dell’individuo, esaurendo l’organismo e determinando una maggiore vulnerabilità allo sviluppo delle malattie.
Stress e omeostasi sono dunque concetti strettamente legati tra loro: il primo minaccia la seconda; quest’ultima fa sì che i parametri vitali fisiologici rimangano entro un intervallo tale da consentire la sopravvivenza dell’individuo.
Il tipo di risposta che segue ad uno stimolo viene determinato da tre elementi: il tipo di stressor, l’organismo sul quale lo stressor agisce e l’ambiente in cui interagiscono i primi due elementi.
Lo stressor va considerato nella sua particolare natura, per le caratteristiche di intensità, frequenza, durata di azione, grado di novità per l’individuo, prevedibilità ed evitabilità. Vi sono ad esempio: a) stress fisici come esposizione al freddo, mancanza di cibo e di sonno, shock elettrico, sfinimento, luce intensa, livello di suono elevati; b) stress metabolici, come la riduzione dei livelli glicemici; c) stress psicologici, come una prova d’esame o un calcolo matematico; d) stress psico-sociali, come per esempio una separazione o la morte di un congiunto.
Ognuno di questi stressor, pur inducendo una generale attivazione dei meccanismi di risposta, è caratterizzato da una preferenziale attivazione di uno o più sistemi.
Ad esempio, l’ipoglicemia insulinica attiva in particolar modo la midollare del surrene, stimolando la produzione di catecolamine come l’adrenalina, la noradrenalina e la dopamina (che agiscono da neurotrasmettitori nel sistema nervoso centrale e da ormoni nella circolazione sanguigna), causando un aumento del battito cardiaco, della pressione cardiaca, dei livelli di glucosio nel sangue e una reazione generale del sistema nervoso simpatico.
L’intensità, la durata e la frequenza dello stimolo, hanno anch’essi grande influenza sull’entità della risposta: stressor troppo potenti, frequenti e prolungati, sono in grado di superare le possibilità di resistenza dell’organismo, creando distress e originando nel tempo un processo patologico.
Al grado di novità, di prevedibilità e di evitabilità dello stressor, viene assegnato oggi un ruolo fondamentale nel determinare l’entità della risposta.
Uno stimolo mai fronteggiato in precedenza e/o imprevedibile e/o inevitabile, induce infatti nel soggetto una risposta (in termini per esempio di ansia o di rilascio di cortisolo) più ampia di quella indotta da uno stimolo conosciuto o evitabile.
L’individuo influenza e produce invece le risposte di stress con caratteristiche che sono il risultato del patrimonio genetico di se stesso e di tutte le modificazioni psicologiche derivanti dall’esposizione, in periodi critici per lo sviluppo della personalità, a stressor di varia natura. In pratica intervengono in questa caratterizzazione non solo il sesso e l’età dell’individuo, ma tutte le attività dei sistemi neuroendocrino, neurovegetativo ed immunitario insieme al profilo della personalità. Possiamo dunque affermare, per quanto sopra esposto, che le risposte di stress sono diverse da soggetto a soggetto, anche se le teorie recenti descrivono fondamentalmente due modelli di risposta generale degli individui sottoposti a stress: una attiva e la seconda passiva, che si ricollegano ai meccanismi istintivi di lotta ovvero di fuga a cui faceva riferimento W. Cannon, nei sui studi condotti alla fine degli anni ’20.
Gli studi sino ad oggi condotti trovano unanime conferma che gli individui attivi mostrano in genere una reattività maggiore rispetto ai passivi, con una predominante attivazione del sistema nervoso simpatico rispetto al parasimpatico e più elevati livelli di: pressione arteriosa, frequenza cardiaca ed alcuni ormoni (come le catecolamine, la prolattina, l’ATCH ed il cortisolo) durante la fase di stress.
L’ambiente, quale sorgente degli stimoli stressogeni (sia esso interno o esterno), costituisce infine la terza componente della risposta di stress.
Quello esterno, in particolare, può introdurre caratteristiche fisiche come la temperatura, il rumore e l’illuminazione, ma soprattutto tutti gli aspetti legati all’interazione sociale nei quali il soggetto è coinvolto.
Analizzando con discriminazione questi tre elementi e le modificazioni dei parametri biochimici, fisici e comportamentali nei soggetti sottoposti a stress, possiamo valutare se le risposte fornite dall’organismo hanno assunto caratteristiche di normalità o di patologia.
Dal punto di vista comportamentale, la risposta di stress implica l’aumento della vigilanza, accompagnato nell’uomo dall’aumento dell’ansia e della preoccupazione che possono interagire con la risposta prettamente fisiologica allo stress, aggravandola
( McEwen, 2000 )
Concludendo, l’individualità gioca un ruolo fondamentale nella risposta di stress in quanto fattori puramente biologici (o appresi dalle esperienze precedenti), possono modificare radicalmente il tipo di risposta fornita dall’organismo.